Si è appena concluso il convegno del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia che si è tenuto a Milano presso l’università Bicocca, Orsa ha partecipato con la presenza delle sue coordinatrici e dei membri del board. Sono state tre giornate importanti per riflettere sulla progettualità che devono avere i servizi per l’infanzia, sulle responsabilità che condividono tutti gli operatori dell’educazione nella definizione di obiettivi, metodi, contesti, esperienze che devono articolarsi a partire da una struttura teorico-pratica chiara e integrata. Parlare di curriculum nell’infanzia tuttavia non vuol dire guardare ai saperi disciplinari, alle materie, non vuol dire pensare un percorso scandito in maniera rigida e ingessata, ma deve significare ricerca di connessioni tra progettazione, organizzazione, documentazione, riflessività, cultura e sistematicità creativa. Contribuire alla creazione di luoghi educativi significa essere sempre coscienti del fatto che bisogna trovare il giusto equilibro tra libertà e ordine, tra creatività e apprendimenti e tra emergente e strutturato.
CURRICOLO
Già Dewey (1913) ci portava a considerare che il curricolo deve essere “l’elemento di connessione tra il bambino e la cultura”, lasciando intendere che non deve essere solo una strada da percorrere per far raggiungere la competenza culturale ai bambini, intesi tradizionalmente come pellegrini che si incamminano verso una meta, ma anche uno strumento di acculturazione che tiene in considerazione il singolo bambino con le sue specificità, individualità e potenzialità. La cultura però non si trasferisce al bambino in maniera diretta, abbiamo bisogno di modi, strumenti, tecniche, ambienti e materiali che permettano agli adulti di insegnare e ai bambini di apprendere, questi modi che rendono possibile l’insegnamento-apprendimento sono il curricolo. Così connettere il bambino e la cultura è principalmente una pratica di interazione didattica, una pratica di insegnamento che riconosce l’imprescindibile fondamento della dimensione intellettuale nella crescita del bambino, per interpretare il mondo bisogna possedere l’abilità di leggere i fatti in modo imparziale e oggettivo, e questa abilità la possiede solo chi è acculturato (proprio nel senso di dotato della cultura della sua società). Il bambino è impegnato in un processo di crescita meraviglioso ma anche impegnativo, poiché da un lato è interessato al mondo in maniera naturale e immediata, dall’altro però il mondo è difficile da capire e serve sviluppare strumenti, principalmente strumenti culturali (per non parlare qui di quelli relazionali e emotivi, che però sono anch’essi di impronta culturale). Qui, in questa dinamica tra interesse verso il mondo e necessità di uno strumentario per trasformare l’interesse in conoscenza e competenze, sta tutta la questione del curriculum; non è possibile ipotizzare una scuola e un nido che non si facciano carico di dare all’esperienza del bambino l’oggettività delle discipline, nel rispetto della sua individualità, dei suoi bisogni, del suo interesse genuino, e della sua voglia di fare esperienze unitarie. Sempre Dewey dice che “l’esperienza presente del bambino non è definitiva, bensì transitoria. Non è completa in se stessa, è solo un segnale o un indicatore di certe tendenze di crescita. Se confiniamo il nostro sguardo a quello che il bambino manifesta, saremo confusi e fuorviati. Non potremo leggerne il significato. La scarsa valutazione del bambino dal punto di vista morale e intellettuale, così come la sua romantica idealizzazione, affondano le radici in una comune fallacia. Scaturiscono entrambe dal considerare gli stadi evolutivi in movimento come qualcosa di estrapolato e fisso”. Ecco il punctum del curriculum, non è nell’esperienza attuale del bambino che troviamo un riferimento per le nostre pratiche educative, ma nelle sue tendenze di crescita e negli obiettivi evolutivi dell’infanzia! Dobbiamo focalizzarci sul metodo della mente infantile che assimila l’ambiente e sulle manifestazioni infantili, ma dobbiamo anche tenere presente che quella mente e quelle manifestazioni si indirizzano, corrono (e currere è l’origine di curriculum), verso uno sviluppo che è di tipo culturale. “Fare appello all’interesse sul presente significa solo eccitazione; significa sollecitare un potere senza convogliarlo verso un obiettivo definito”, e conoscere gli obiettivi e convogliare le esperienze verso un fine è proprio l’opera dell’educazione. Ma guai se gli obiettivi non hanno attinenza con gli interessi dei bambini, guai se all’esperienza del bambino si volesse sostituire la disciplina o la materia di studio, un grande guaio sono anche le troppe schede e gli eccessivi anticipi di alcuni apprendimenti nella scuola dell’infanzia! La cultura deve sempre essere portata ai bambini come qualcosa che essi hanno già “visto, sperimentato e amato”, come qualcosa di reale e attinente alla loro vita quotidiana; deve essere sempre legata alle motivazioni intrinseche e ai bisogni intellettuali e di crescita che i bambini albergano in loro stessi, non può ridursi a qualcosa di meccanico; e deve sempre far sì che i bambini siano attivi costruttori del sapere piuttosto che fruitori che ripetono scialbamente qualcosa che non hanno capito. In definitiva riflettere sul curriculum ci permette di costruire un percorso dei nidi e delle scuole verso il bambino, i suoi interessi attuali, le sue capacità di oggi, le sue esperienze, la sua immediata voglia di entrare in contatto con il mondo per sperimentarlo, capirlo, comunicarlo. Ma, dall’altra parte, ci permette anche, invertendo il senso di marcia, di creare un percorso dei nidi e delle scuole verso l’ideale umano della comprensione del mondo attraverso conoscenze oggettive, attraverso il possesso di cultura. Curricolo è responsabilità innanzitutto verso noi stessi come professionisti (che dobbiamo avere una profonda conoscenza delle manifestazioni culturali della società umana), verso i bambini come esseri in crescita che tendono alla cultura (e abbisognano di strumenti), e verso la comunità che ci affida l’onere principale di redigere il curricolo, interpretarlo e realizzarlo. Curricolo è responsabilità perché è responsabile in educazione avere tre grandi attenzioni: 1) dubitare della spontaneità che si fa modello e dello spontaneismo pedagogico; 2) progettare, avere linee programmatiche, essere riflessivi e valutare; 3) organizzare il nostro lavoro in campi di esperienza e aree culturali (ad esempio corpo, comunicazione, logica, nella celebre distinzione di Frabboni in un testo imperituro come “Il pianeta nido” del 1985). Come giustamente rilevava Quinto Borghi (1988) il curricolo corrisponde a punti cardinali di riflessione in merito all’organizzazione delle attività educative all’interno del nido e della scuola dell’infanzia, cercando di trovare “una risposta soprattutto all’interrogativo del che cosa (cioè di quale cultura il nido deve essere portatore e quali modelli informativi devono essere presenti in esso) e del come (ossia di quali modalità di trasmissione dei saperi, delle esperienze e della cultura si deve fare portavoce). Borghi continuava poi affermando che le aree in cui si articola il progetto educativo (ovvero il curricolo) sono sempre, e almeno, quattro, cioè gli spazi, i tempi, gli oggetti e le relazioni. In pratica il curricolo può essere il modello pedagogico di riferimento della scuola, nell’accezione problematicista che ha il termine modello, come ricorda anche Bertin, che analizza il concetto di modello dal punto di vista normativo-costruttivo, il modello diventa quindi lo schema-guida per realizzare la scuola. Ma non uno schema ideologico, preordinato e appiattito sulle richieste sociali ed economiche nei confronti dell’infanzia, ma uno schema che determina dinamicamente obiettivi educativi e i mezzi adeguati per realizzarli. Sempre attenti ad impedire cristallizzazioni, chiusure ed involuzioni del curricolo in senso dogmatico e fisso, grazie ad una serrata analisi e critica dei fondamenti filosofici impliciti nei modelli educativi, prendendo a prestito le parole di Baldacci (2007).
“CARE” – LA DIMENSIONE EUROPEA DELLA RIFLESSIONE SUL CURRICOLO
La domanda che ha risuonato più forte al convegno è la seguente, “quali sono le competenze per la vita che si devono sviluppare a partire dalla nascita, al nido e alla scuola dell’infanzia?” Questa domanda è forse la più importante nella storia della pedagogia, difatti da sempre ci chiediamo che cosa serve apprendere, qual è l’ideale umano a cui tendere, a quali tipi di esempio far corrispondere l’adulto e la scuola. Un’ipotesi di risposta a dimensione europea è stata presentata al convegno con i primi risultati di una ricerca nata nell’ambito del progetto “Care”. La ricerca condotta in Italia ha visto un campione di 913 insegnanti e 1271 genitori, ai partecipanti è stato chiesto di valutare, su una scala da 1 a 5, l’importanza delle competenze che un bambino deve sviluppare durante quella che è sempre più riconosciuta come una fascia d’età determinante per la riuscita nella vita: i primi sei anni. A presentare i risultati dell’indagine i docenti della Bicocca Giulia Pastori, Chiara Bove, Piera Braga e Francesca Zaninelli. Insegnanti e genitori si accordano sull’idea generale di sviluppo e competenze. Ad esempio se gli insegnanti assegnano un punteggio di 3,85 allo sviluppo armonico delle relazioni interpersonali del bambino da 0 a 3 anni, quali il rispetto per gli adulti e i coetanei e l’accettazione delle regole, i genitori attribuiscono un punteggio di 3,84 alle stesse abilità. Ancora, comunicare, saper gestire le emozioni e provare amore per il mondo esterno (nella fascia dai 0 ai 3 anni ottiene 3,92 dagli educatori e 3,97 dai genitori mentre nella fascia dai 3 ai 6 anni ottiene 4,6 dagli educatori e 4,66 dai genitori). Inoltre si considerano allo tesso modo gli atteggiamenti mentali quali l’apertura al nuovo e l’autostima. Quali sono dunque gli obiettivi che la scuola deve iscrivere nel proprio orizzonte nei primi 6 anni di vita dei bambini? Secondo i professionisti dell’educazione che hanno dato vita al progetto Ecec-Care la scuola e il nido devono sviluppare un quadro di riferimento scientifico e rilevante culturalmente per definire nella qualità le proprie pratiche educative, i progetti pedagogici, le azioni di valutazione del proprio operato. Tutto ciò con l’attenzione all’inclusione delle esigenze dei docenti, delle famiglie e dei bambini e della società più ampia. In quest’ottica la scuola dell’infanzia accoglie bambini e bambine da 0 a 6 anni per dare loro l’ambiente migliore per crescere, apprendere e essere curati, e se lo sviluppo è la principale occupazione dei bambini, l’impegno sul curricolo dei professionisti della scuola ne è la condizione e il prerequisito. Creare un curricolo ampio, ben strutturato, includente, che parta dalle evidenze che abbiamo appreso nel tempo, un curricolo forte che metta l’inclusione al centro e metta fine alle differenze sociali, è il compito della scuola 0-6 nell’ottica europea. Nelle parole di Michel Vandebroeck, nella giornata di apertura, dobbiamo rendere operative e reali l’uguaglianza di opportunità attraverso un curricolo strutturato per favorire lo sviluppo di tutti i bambini. In Italia non partiamo da una situazione di vantaggio, e molte esperienze di eccellenza rimangono troppo territoriali nella loro diffusione, con la grande arretratezza strutturale del meridione, e questo compito di strutturare un curricolo per lo sviluppo di tutti i bambini rischia di essere frustrante in molti contesti della Penisola, se ne è parlato al convegno soprattutto il sabato e sono emerse alcune criticità che il legislatore dovrà affrontare in maniera obbligata se vorremmo essere un Paese onesto e serio.
I DIRITTI DEI BAMBINI E LA NUOVA LEGGE
“Questo incontro – ha detto Susanna Mantovani del convegno – si svolge in un momento strategico della storia dei diritti dei bambini, in quanto con la legge 107/2015 si sancisce l’importanza delle attività curricolari per il periodo prescolastico per promuovere il benessere generale dei piccoli, favorendo la loro autonomia”. La legge 107/2015 che tutti conoscono come “buona scuola” è stata la cornice politica entro cui si è tenuta la tre giorni di Milano. Come tutti gli altri governi anche l’attuale ha deciso di mettere mano ad una riforma del sistema educativo e ha riservato una parte della riforma alla riorganizzazione del comparto 0-6, o forse dovremmo dire all’organizzazione del comparto 0-6, visto che fino ad oggi lo 0-3 rimaneva (almeno formalmente) confinato nell’area dell’assistenza sociale. Benché nel testo di legge si segnalino alcune note validissime che lascia ben sperare per il futuro, e ricordiamo qui la compresenza dei docenti in aula, l’esclusione dei servizi 0-6 dall’insieme di quelli a domanda individuale, la promozione di poli per l’infanzia 0-6 e il finanziamento di un Piano di azione nazionale per la realizzazione di un sistema integrato per raggiungere livelli essenziali delle prestazioni, tuttavia il testo non è attuativo e rimanda al governo per la redazione di decreti delegati che trasformino lo spirito della legge in prassi e indicazioni cogenti. Comunque già ora siamo in grado di dire che l’infanzia esce dal cono d’ombra giuridico in cui si era venuta a trovare e che per la prima volta ci si confronta direttamente con i diritti dei bambini e delle loro famiglie ad avere accesso a nidi e scuole di qualità in cui poter trovare livelli omogenei e ambienti educativi definiti dalla presenza delle buone pratiche. L’idea che l’educazione fin dalla nascita sia un diritto tra i principali che spettano al bambino non è di certo nuova, ma sembra nuova l’idea che questo diritto debba essere esigibile realmente per un ampio numero di bambini, in un contesto in cui alcune città, e l’Emilia-Romagna tutta, sono ai livelli prospettati dall’Unione Europea a Lisbona nel 2000 (cioè il 30% dei bambini che possono avere un posto nei nidi), mentre altri territori rimangono spaventosamente indietro. I diritti che non possono essere esercitati non possono essere definiti reali, al più servono da monito per l’agenda politica e per la coscienza pubblica, e ad oggi il diritto dei bambini alla frequenza di una struttura educativa e scolastica di qualità che includa tutti e permetta di perequare le distanze sociali e gli svantaggi economici è drammaticamente impossibile da esercitare in molte aree d’Italia in cui la questione infantile non fa neanche parte del dibattito politico. Come è stato fatto presente dalla Sylva dell’università di Oxford, una buona educazione con impianto curricolare avanzato mette i bambini e le bambine in condizione di sviluppare le proprie competenze e possibilità anche superando lo scalino sociale che per colpa delle disuguaglianze socio-economiche gli si para dinnanzi alla nascita, il messaggio che abbiamo colto, con una facile immagine, è che per un bambino è facile superare un’ostacolo se viene messo in condizione di provarci e di poterlo fare. Se l’insegnante conosce a fondo le manifestazioni culturali che sono rappresentate da ciò che definiamo curriculum, ed è in grado di presentarle al bambino in modo che si sprigioni la sua potenza psichica, la sua capacità e la sua creatività allora la scuola realizza la politica dei diritti dell’infanzia. Il curricolo è necessario anche per la politica, per la dimensione politica in cui i bambini vivono fin dal loro primo affacciarsi alla comunità e alle relazioni.
CONCLUSIONI
Nelle commissioni che hanno animato la giornata di sabato si è affrontata l’articolazione del curricolo e le sue influenze sulle pratiche del nido e della scuola. Il curricolo non è solo programmazione, né si limita a informare di sé le sole pratiche educative, piuttosto investe anche la dimensione delle relazioni, della comunicazione, della documentazione, della governance del sistema educativo 0-6, delle culture organizzative dei servizi, della professionalità degli operatori e del superamento dei disequilibri delle politiche per la famiglia. Il lavoro svolto nelle commissioni è stato proficuo e, per l’alto livello d’approfondimento e le possibili ricadute positive che può avere sulla quotidianità dei nidi, ha spinto tutte le coordinatrici che hanno partecipato a voler condividere quanto appreso in una ulteriore sessione riservata al personale di Orsa. Ci incontreremo presto dunque, per avviare lo scambio e favorire la crescita di tutti, per migliorare sempre e continuare a sviluppare le nostre teorie e l nostre pratiche, insieme ai fruitori dei nostri servizi per la costruzione di una società sempre più inclusiva e responsabile.