In questi ultimi giorni si è molto parlato delle violenze avvenute in un nido privato del quartiere milanese di Bicocca. Dalle prime ricostruzioni e dalla visioni delle immagini si evince che lo staff della struttura sottoponeva i bambini ad una serie di abusi fisici, morsi, strattonamenti, schiaffi. A seguito della diffusione della notizia è partito un acceso dibattito in merito ai controlli necessari a garantire la qualità nei nidi, per scoprire, evitare e prevenire gli abusi che possono avvenire in contesti di cura. Da molte parti si è proposto un ricorso immediato alla tecnologia per introdurre telecamere all’interno dei nidi. Questa idea sembra, a prima vista, la più semplice da realizzare per controllare quanto avviene all’interno delle strutture, tuttavia la proposta è nata in maniera alquanto approssimativa e senza una adeguata conoscenza della legislazione attualmente in vigore, che per rendere fruibili le riprese prevederebbe un iter complicato, per poter utilizzare queste telecamere nel rispetto del diritto alla privacy. Un secondo elemento da tenere presente in merito all’istallazione di telecamere nei nidi d’infanzia -così come nelle altre strutture che si occupano di educazione, cura e assistenza- riguarda che tipo di controllo desideriamo esercitare per promuovere le nostre attività professionali ed educative. Susanna Mantovani ha bocciato l’idea delle telecamere e parlato a favore di un controllo che serva per il miglioramento dei servizi e non per promuovere la cultura del sospetto e un atteggiamento poliziesco, servirebbero degli ‘agenti di miglioramento’, ha detto. Qui siamo al nòcciolo del problema che ci si pone dinnanzi, ovvero, non ci dobbiamo preoccupare solo del controllo delle azioni di chi opera con i bambini o della legittimità e della modalità d’uso dei video, dobbiamo invece considerare il controllo come parte di un processo più complesso, che invece coinvolge più fasi e strumenti e che ricerca il miglioramento continuo dei servizi.
In altre parole il controllo non è un fine, ma un mezzo che interagisce con altri strumenti per far sì che i nidi raggiungano la qualità educativa che la società auspica per loro. Pensare che il controllo sia una finalità, e l’unica su cui tra l’altro si riesce a mobilitare l’interesse dell’opinione pubblica intorno ai nidi, è veramente riduttivo e superficiale e riconduce la visione del nido ad un luogo di accoglienza in cui l’attenzione vira tutta sull’assenza di comportamenti lesivi. L’attenzione invece deve essere portata sulla qualità e sull’eccellenza educativa, che devono essere il fine della progettazione e della realizzazione di interventi educativi nei nidi. Pensare che controllare si riduca ad accertare che non ci siano abusi e violenze, è come immaginare che il controllo in un caseificio in cui si produce il parmigiano si riduca a verificare che nessuno versi dei liquidi velenosi nella cagliata, il che è evidente privo di senso. Lo scopo del caseificio è fare un formaggio di qualità che segua un protocollo specifico, e il controllo non si può limitare alla verifica che nessuno procuri inquinamento con veleni alla massa lattea, si estende a tutta la filiera e a tutti i processi necessari a fare il formaggio. Il controllo educativo, allo stesso modo, rientra in una strategia più ampia di accertamento della qualità, e non intesa in maniera formale. Tutti infatti sappiamo che esistono decine di grandi società che gestiscono nidi e scuole dell’infanzia che possiedono certificazioni di qualità di diversa natura, ma questo tipo di certificazioni valutano solitamente la presenza di requisiti e prassi che sono spesso di natura formale. Ad esempio la Uni 11034 controlla che la società gerente abbia delle buone politiche di informazione, organizzazione, gestione degli spazi e degli arredi. Inoltre che ci sia una adeguata progettazione educativa e che il personale abbia i requisiti di legge. Nessuno che operi nel settore può dichiarare di non averne, e tuttavia avere la certificazione spesso significa solo dichiarare di possedere dei requisiti, senza che ciò obblighi ad operare effettivamente in un regime di qualità. Il fatto che spesso i controlli e gli accreditamenti siano del tutto formali è dimostrato anche dal fatto che il nido privato del quartiere Bicocca in cui avvenivano le violenze era stato appena accreditato dal Comune di Milano.
L’unico modo per intendere in maniera realistica il controllo è focalizzarsi sulle pratiche e sulla qualità intesa come processo e non come prodotto. Educare vuol dire sempre favorire esperienze significative in un gruppo di bambini che ci vengono affidati, e creare esperienze significative, di tipo cognitivo, emotivo, affettivo e relazionale, non è cosa semplice e banale, richiede competenze, aggiornamento, sostegno, curiosità, capacità riflessive. Inoltre il lavoro con bambini di età differenti e differenti necessità sollecita un’azione flessibile e elastica. Nei nidi siamo sempre a contatto con colleghi con cui mediare e collaborare, la dimensione di relazione non si limita al rapporto con i bambini ma si estende ai genitori e ai comuni, non è un lavoro per persone che hanno poca dimestichezza con le relazioni e le capacità di comunicazione. Mettere in rete tutte queste competenze e tutte le necessarie capacità per creare ambienti educativi ricchi, a dimensione di bambino, che promuovono le potenzialità di ciascuno e aiutano la famiglia a trovare sostegno nel percorso educativo dei propri figli, non è cosa da poco, non è impresa che si possa affrontare preoccupandosi solo del fatto che nessuno picchi o schiaffeggi.
L’impresa educativa parte proprio nel momento in cui riconosciamo che educare è prendersi cura di sé come educatori, dei bambini, della società, dell’idea di infanzia, per promuovere il progresso di tutta la comunità, ma siccome è un’impresa difficilissima e di precari equilibri, ostacolata da influenze sociali nefaste e da diffusi comportamenti umilianti, ingiusti e abusanti verso i più deboli, che spesso considerano i bambini semplici oggetti di mire commerciali senza scrupoli, allora bisogna creare una squadra educativa che nei contesti in cui si trova possa fare affidamento su una serie di risorse umane, materiali e immateriali, con cui costruire un intervento educativo di eccellenza che metta i bambini e le famiglie in grado di accedere ad un vero aiuto, ad una proposta di crescita per tutti, e non solo ad un servizio di custodia oraria in cui si portano i bambini perché si deve lavorare per sopravvivere. Non dobbiamo solo controllare che non avvengano violenze, dobbiamo vigilare affinché il servizio educativo sia in grado di migliorare il quartiere in cui si trova, le famiglie che serve, la vita dei bambini che ha in cura e della società tutta. Ognuno dovrebbe essere impegnato nel controllo di tutta la filiera, nel coinvolgimento di tutti i portatori di interesse, nella fornitura di risorse ai nidi, nella promozione di una cultura dell’infanzia, nel riconoscimento che educare è un lavoro complesso che richiede un riconoscimento sociale e economico differente.
La verifica del caseificio non può dunque essere affidata ad un onnipotente ispettore che controlli tutto, e la stessa cosa avviene in ogni contesto, in special modo nei contesti educativi, il controllo è diffuso e avviene grazie al coinvolgimento nell’attività lavorativa da parte di tutti i lavoratori. Non a caso i carabinieri hanno dichiarato di aver aperto le indagini a seguito di una segnalazione da parte di collaboratrici del nido che hanno parlato proprio di abusi fisici compiuti contro i bambini.
Dewey affronta il problema del controllo quando afferma (in Esperienza e educazione) che la vera scuola progressiva trova un elemento di equilibrio nel controllo sociale esercitato dal gruppo nei confronti del singolo, estendendo un principio cardine della democrazia, ovvero: chi controllerà i governanti se non i governati? Questo controllo è però di natura non autoritaria e implica che il gruppo si preoccupi di fare attenzione che nessuno danneggi il perseguimento dell’attività comune, come nel caso di un gioco in cui il gruppo controlla che nessuno violi le regole o imponga la propria volontà agli altri esulando dalle regole. Così anche nella scuola dice Dewey è il coinvolgimento del gruppo in una attività di interesse comune che porta al controllo degli individui che vi sono impegnati.
Estendendo la posizione di Dewey fino a creare una similitudine, possiamo dire che allo stesso modo nel lavoro educativo il controllo deve essere diffuso e provenire da tutti i soggetti che sono coinvolti nell’impresa educativa e che si debba pervenire a quella agognata cultura della valutazione permanente attraverso il coinvolgimento di tutti gli operatori e portatori di interesse. Come dice giustamente Sandra Benedetti in un suo intervento sul sito del Gruppo Nazionale Nidi “quello che manca nei servizi che scivolano verso queste inconcepibili situazioni è l’assenza di una gestione comunitaria del servizio educativo”. Proprio la gestione comunitaria intesa come partecipazione di tutti al processo di valutazione della qualità reale dei servizi è la via da percorrere.
Non si eviteranno tutti i rischi, rimarranno sempre delle criticità e come per ogni campo dell’agire umano sarà difficile scovare chi vuole far male agli altri con dolo, ma tuttavia sarà l’unico modo per cercare di avere servizi educativi che rispondono alla domanda di educazione e miglioramento che proviene dalla società.
Orsa scs