Loris Malaguzzi e la scuola a nuovo indirizzo

Per i tipi di Zeroseiup è uscito un testo di Battista Borghi e Franco Frabboni su Loris Malaguzzi dal titolo Loris Malaguzzi e la scuola a nuovo indirizzo. Il libro è di veloce e appassionante lettura e affronta Malaguzzi in maniera seria e scevra da modi affettati e agiografici facendone apprezzare l’impegno politico e la sollecitudine umana verso una idea di bambino reale, libero e indisponibile alle mire commerciali e strumentali che la società gli rivolge. Frabboni (autore della prima parte del libro) si occupa soprattutto di ricordare i presupposti antropologici e territoriali che hanno permesso a Malaguzzi di promuovere una pedagogia popolare e genuinamente legata alla cultura del luogo, una pedagogia che protegge il bambino dalla spirale dei consumi e che si rivolge alle pratiche didattiche plurali, ispirate a diverse teorie cognitive e aperte sul mondo complesso dell’infanzia. Borghi invece (che è autore della seconda parte) dà corpo ad una ricognizione degli utensili pedagogici che Malaguzzi ha lasciato in eredità a chi si occupa nella pratica di prima e seconda infanzia, indicandoci utili e significative tracce per seguire il modello educativo che emerge dall’esperienza reggiana.

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Frabboni riconosce in Malaguzzi i tre elementi che più lo hanno fatto apprezzare nel mondo dell’educazione, ovvero 1) la sua attenzione ai linguaggi creativi della mente, 2) la sua capacità di far dialogare i bisogni individuali con quelli non-individuali nella scuola e 3) la sua autorevole propulsività nell’attribuire alla scuola il ruolo di formazione del cittadino che le compete.

Il primo punto è quello che risalta più nitidamente quando si osserva il lavoro di Malaguzzi, l’importanza del gioco e della creatività per rendere la scuola un luogo vivo, vivace, aperto, pieno di interessi, di curiosità, di emozioni e di immaginari che il bambino non è costretto a dimenticare quando varca la soglia della classe. La creatività che valorizza Malaguzzi è da intendere anche come fantasia (strutturalmente rodariana per Frabboni) che permette al bambino di volare in mondi lontani e immaginari, ipotetici e alternativi, ma tenendo sempre in vista le ricadute sulla realtà, ricadute dolci e positive, che costruiscono qualcosa di reale e collegato al presente. Malaguzzi ha affermato la centralità educativa dei linguaggi fantastici e immaginativi, dell’arte e dell’esperienza artistica, che nelle sue scuole non è mai confinata al ruolo comprimario e compensativo rispetto all’attività nozionistica e verbalistica. Così a Reggio i linguaggi musicali, teatrali, grafici e pittorici sono oggetto di competenza cognitiva ed estetica perché sono considerati saperi fondamentali per comprendere e reinventare il mondo.

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Il secondo aspetto del pensiero di Malaguzzi è meno esplorato ma importante quanto la centralità dei linguaggi della creatività, stiamo parlando della armonizzazione di strategie didattiche individualizzate necessarie a sviluppare una qualsiasi alfabetizzazione primaria (quando ci si trova di fronte alle conoscenze irrinunciabili del curricolo come nel caso delle condotte/competenze di base delle singole discipline) e procedure non-individualizzate necessarie a sviluppare l’alfabetizzazione secondaria (quando ci si trova di fronte alle competenze metacognitive, ai processi di analisi/sintesi, di induzione/deduzione, di intuizione/invenzione). Benché cognizione e metacognizione siano processi legati indissolubilmente in una fase avanzata dell’apprendimento, nei primi anni di vita si osservano anche distintamente, e, soprattutto, l’adulto li favorisce con modalità, strumenti e tempi differenti. Come nel caso di Malaguzzi, che dissemina la sezione di percorsi formativi individualizzati, perché nei banchi si gioca con i materiali degli angoli didattici (alfabetici e logico-matematici), mentre cura, negli spazi di intersezione, dei centri di interesse (pittorici-manipolativi-motorici-musicali-teatrali). Nella sezione si possono sviluppare maggiormente le competenze individuali che derivano dall’esercizio, mentre nell’intersezione si possono avviare più facilmente i percorsi riflessivi, di secondo livello, in cui le competenze vengono analizzate attraverso la lente del lavoro creativo e con il supporto dell’adulto. Negli atelier e nei laboratori (di intersezione) si gioca con strategie non individualizzate in cui fantasia e creatività aprono la mente a quel viaggio  dalla realtà verso l’immaginazione e ritorno.

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La Pedagogia popolare di Malaguzzi è, per Frabboni, la sola in grado di riannodare teoria e prassi in educazione, ma anche la sola che è nelle condizioni di elevare la comunità del bambino, sia intesa come scuola, sia intesa come famiglia/città/contrada, a strumento di socializzazione e formazione del cittadino. La scuola di Malaguzzi nasce dalla comunità e riporta alla comunità, come si è detto più volte è politica. Costituisce il momento di attualizzazione delle speranze della comunità, di una comunità che chiede di vivere un progresso democratico e che chiede alla scuola di incarnarlo, ospitando bambini che sappiano aprirsi alla relazione, alla interazione, alla convivialità e alla cooperazione. Da una parte la società deve entrare nella scuola e influenzarla, spingerla a considerare che solo un contesto sociale concreto e reale può facilitare gli apprendimenti utili per la vita, dall’altra la scuola deve assumere una forma in cui i bambini possano fare esperienza quotidiana di una apertura verso l’altro, verso la pluralità, verso saperi che nascono in un contesto sociale.

In definitiva Frabboni considera Malaguzzi il campione di una delle quattro grandi finalità educative della scuola dei primi sei anni di vita, che sono incarnate rispettivamente da quattro grandi pedagogisti italiani e riassunte nelle espressioni: infanzia della mente e dell’autonomia di Maria Montessori, infanzia del cuore e della relazione di Don Lorenzo Milani, infanzia dei perché di Bruno Ciari e, appunto, infanzia della fantasia e della creatività di Loris Malaguzzi.

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Se Frabboni affronta il Malaguzzi della pedagogia e del Nuovo Indirizzo, Borghi invece si confronta con il Malaguzzi operatore tecnico del mondo della scuola, con il direttore e il responsabile pedagogico delle concrete esperienze scolastiche avviate a Reggio Emilia. Nel farlo Borghi procede partendo da due utili strumenti: uno bibliografico, ovvero gli articoli che Malaguzzi pubblicò negli anni dal 1976 al 1994 (sulle riviste che dirigeva), e l’altro modellistico, costituito dalla scuola Diana (con lo scopo di far emergere il modello di scuola reggiana impiegando una scuola modello come prototipo).

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L’atelier della Scuola Diana

Quali elementi particolarmente significativi della scuola dell’infanzia che Loris Malaguzzi aveva in mente e che esprimeva attraverso i suoi scritti troviamo principalmente delle linee di sviluppo che si sono dipanate durante tutta la sua vita ed esperienza scolastica: 1) la scuola del primo ciclo, quello dei primi sei anni, è il frutto di un pensiero solidale, rappresenta una comunità che si mette in marcia per dare una risposta alla propria infanzia (e dunque la scuola dell’infanzia deve nascere dalla prossimità e dalla sussidiarietà, dalla gestione sociale e dal coinvolgimento attivo dei genitori e delle amministrazioni territoriali, non deve essere il governo centrale a fare la scuola di un territorio); 2) fare la scuola dell’infanzia è innanzitutto fare politica, perché al centro delle preoccupazioni di chi fa scuola ci deve essere un approccio che sia sempre altamente democratico, in cui cioè siano sempre presenti le ragioni e gli argomenti di chi sta più in basso, di chi è ai margini, di chi è periferico; 3) la scuola è sempre una scuola delle mani e del saper fare, sapere conta solo se è anche saper fare, conoscere significa anche utilizzare le mani, esplorare e agire. I bambini scoprono le regole del mondo: come sono fatte le cose, come reagiscono, quali sono le qualità percettive e sensoriali delle cose, che cosa si può fare con gli oggetti e via dicendo, solo se possono fare.

In definita Borghi ci dipinge un quadro di Malaguzzi come di un pedagogista della scuola del territorio, sussidiaria, politica, del fare, in cui le famiglie, la società, i bambini trovano occasioni di confronto, di crescita, di aiuto, di esplorazione e scoperta. E quando poi passa a descrivere il lascito più propriamente scolastico (di pedagogia pratica e di pratica pedagogica) ci accorgiamo che dopo Malaguzzi si è posto un più ampio grado di interesse verso il potenziale infantile, verso la professione docente e la ricerca connessa alle pratiche di insegnamento, verso la figura del pedagogista e verso il coordinamento pedagogico delle strutture. Ma vediamo più nel dettaglio. Il bambino potenziale, quello che è pronto a esprimere tutte le sue forze e capacità latenti, è il bambino tipicamente descritto da Malaguzzi, per lui i bambini sono sempre pronti a scoprire, a dare, a vedere qualcosa di nuovo intorno a loro, l’adulto li deve riconoscere come abili, potenti, in grado di fare, promuoverli in questa forza creatrice e cognitiva che hanno. Il bambino è fatto di cento, nelle parole famose della poesia che campeggia ormai in molte scuole del mondo ad approccio reggiano.

Anche l’educatore è un educatore diverso da quello che Malaguzzi vedeva nelle altre scuole italiane della sua epoca, il suo educatore deve innanzitutto essere preparato, conoscitore del bambino (aspetti psicologici e filosofici della professione) e conoscitore delle esperienze educative (aspetti metodologici e didattici). Deve anche essere in grado di riflettere sulla sua professionalità, deve essere attento a registrare quello che fa, a cambiare idea e migliorare, anche utilizzando quotidianamente strumenti di documentazione e creando veri e propri archivi della scuola. Dice Borghi, parlando dell’ordine che acquista la professione del docente e in generale la proposta della scuola di Reggio, che “tutto deve essere predisposto in modo ordinato e meticoloso, tutto deve essere preparato in modo accurato anche nei dettagli. Il coordinamento pedagogico (le riunioni settimanali dei pedagogisti), i collettivi (riunioni periodiche degli insegnanti di ogni scuola coordinate e presiedute dal coordinatore pedagogico) e gli incontri degli insegnanti di sezione con i genitori costituiscono gli strumenti fondamentali della programmazione. La preparazione preventiva dei materiali, la predisposizione di schede come traccia di lavoro per gli adulti, l’esposizione dei disegni dei bambini alle pareti, i lavori dei bambini messi a disposizione su un tavolo ne sono gli ingredienti. È in ogni modo sempre da evitare l’improvvisazione, la provvisorietà, l’occasionalità.” Il docente non può più improvvisare, ma ciò perché vive una professionalità dedita allo studio del bambino e alla preparazione (progettazione/programmazione) dell’ambiente e delle proposte, in un contesto lavorativo in cui tutti (anche il pedagogista e il coordinatore) concorrono ad una cultura dell’ordine e della strutturazione delle esperienze educative.

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Dalla lettura del libro si evince che l’esperienza scolastica di Malaguzzi, benché non possa essere definita metodologicamente in maniera rigorosa e sistematica, ha saputo delineare delle tracce per un modello educativo nuovo che ha una direzione di lavoro aperta e flessibile. Aperta alle potenzialità del bambino reale, alla sua fantasia, alla sua capacità di creare connessioni e sviluppare interessi, ma aperta anche al territorio e alle suggestioni del contesto. Flessibile perché le esperienze e le pratiche devono essere diverse da bambino a bambino e nel tempo, e soprattutto l’adulto deve essere sempre molto attento ai livelli e agli interessi dei bambini per rilanciare l’attività e riprogrammare la struttura dell’esperienza stessa, senza fare affidamento su schemi, idee spicciole o banali esercizi. Queste tracce di un modello educativo nuovo ci parlano anche di un educatore che si fa riflessivo, che documenta e si apre alla dimensione della riprogettazione delle proprie pratiche, che si sofferma sull’idea che le competenze professionali no nei possono sclerotizzare, che si occupa di valutare il proprio agire e lo fa costantemente.Sono tracce di un modello, infine, che, sulla scorta dell’esperienza montessoriana, si preoccupa dei saperi dei bambini, dello sviluppo della loro mente, di introdurre l’educazione scientifica già alla scuola dell’infanzia, facendo giocare, però, la parte del leone allo sviluppo dell’ambito delle capacità sociali e dell’espressione e della fantasia.

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