Un ambiente che favorisce un rapporto diretto del bambino col mondo
Progettare un ambiente montessoriano, al nido e alla scuola dell’infanzia, vuol dire costruire intorno al bambino un dispositivo mediale che si fa carico della funzione educativa assieme all’adulto, non considerandolo di certo come sostitutivo dell’intervento umano, ma neanche in completo subordine. L’ambiente, nel paradigma montessoriano, è progettato infatti dall’adulto per dare al bambino la possibilità di interagire con oggetti e materiali che favoriscono apprendimenti che non possono derivare dall’interazione con l’adulto. L’ambiente dunque media tra bambino e apprendimento, proprio come qualsiasi docente, permettendogli di imparare alcune abilità che nella prima e nella seconda infanzia non si potrebbero imparare diversamente, cioè con azioni educative tradizionali e incentrate sull’oralità, la lezione, la relazione coll’adulto o con i pari. L’ambiente fornisce mezzi di apprendimento e occasioni di crescita insostituibili nei primi ani di vita, ha una vera e propria forza psicogena, indirizza lo sviluppo, lo permette e lo nutre.
Il ruolo mediale dell’ambiente montessoriano e la natura psicogena sono spesso causa dell’avvicinamento alla Montessori da parte di molti docenti ed educatori, e questo ripensamento dell’offerta educativa ambientale inizia proprio col creare un ambiente a misura di bambino, per citare un adagio caro a chiunque conosca il metodo. Tuttavia il discorso sull’ambiente a misura di bambino non verte solo sulle misure fisiche degli arredi e degli oggetti adatti al corpo infantile (i celebri arredi a dimensione di bambino che oramai tutti utilizzano) anzi, è più che altro un discorso sulla reciprocità che si istaura tra la mente del bambino e l’ambiente, un discorso sulla possibilità di mediare con la giusta misura che fa raggiungere le potenzialità, gli interessi e le tendenze infantili. Un ambiente che è a misura emotiva, morale, cognitiva e fisica, al contempo. Come un prodotto a misura, anche l’ambiente deve essere progettato conoscendo il soggetto cui si deve adattare, e proprio per questo l’ambiente diventa il medium attraverso il quale avviene l’apprendimento infantile, perché i bambini apprendono principalmente da una relazione diretta con le cose del mondo, secondo il più classico paradigma roussoviano di educazione indiretta.
Rousseau fu il primo a immaginare un processo di insegnamento-apprendimento che non si basasse sulla struttura gesuitica dell’alternarsi di lezioni, esercizi, valutazioni.
In Rousseau troviamo una distinzione fondamentale che porterà in autori come Montessori a rifondare l’importanza dell’ambiente educativo. Per Rousseau non educa solo l’adulto, piuttosto esistono tre tipi di educazione: 1) naturale, 2) umana, 3) di relazione con le cose e con il mondo. L’educazione umana non deve ostacolare quella naturale ma agire su quella delle cose, degli oggetti, delle esperienze, predisponendo un ambiente in cui il soggetto da educare possa seguire gli stadi naturali, le inclinazioni naturali, esercitandosi nella relazione con oggetti, cose, manufatti, attività adatti a lui, a sua misura.
L’educazione allarga l’inquadratura della propria azione, includendovi il mondo, l’ambiente. Evidentemente è necessaria un’azione diretta dell’adulto per educare il bambino, ma questa azione diretta non può ignorare l’importanza dell’esplorazione del mondo, la libertà e la curiosità di chi deve apprendere, e non può sostituirsi alla azione diretta del bambino che manipola, afferra, trasporta, slega, infila, …
L’educazione delle cose permette al bambino di affrontare il mondo, capirlo, scoprirlo, dominarlo direttamente, esplorando ed esercitandosi su materiali, oggetti, piante, sassi, acqua, ogni cosa che può insegnargli a fare, pensare, capire. L’azione del docente sul discente non sparisce, non perde la sua utilità, rimane fondamentale ma diventa indiretta, perché egli agisce direttamente sull’ambiente al fine di agire indirettamente sul discente. Prepara l’ambiente per favorire le migliori interazioni con esso.
La concezione di educazione indiretta che ereditiamo da Rousseau deve essere di tipo dialettico, perché l’educazione indiretta prevede sì l’assenza di libri e verbosità del docente, ma dall’altro prevede la presenza indiscutibile dell’esperienza diretta del bambino a contatto con il mondo, la natura, i mestieri, gli eventi, gli oggetti, con ciò che si può esplorare e manipolare, con qualsiasi cosa che contenga una parte dell’intelligenza umana: uno strumento, un utensile, un abaco. Grazie all’aiuto dell’ambiente ricco di materiali pensati per favorire direttamente l’azione intelligente del bambino l’adulto rinuncia a educare direttamente per mezzo di lezioni piene di parole, piene di letture, piene di esortazioni, di esercizi passivizzanti e di valutazioni mortificanti, e si convince che educare richiede innanzitutto l’eliminazione di condizionamenti sociali e la proposta di spazi e strumenti che favoriscono l’azione del discente. Educare indirettamente significa dunque lasciare spazio al rapporto (educativo) tra soggetto e ambiente, tra Io e Mondo, ma proprio per questo l’attenzione e l’azione dell’educatore si rivolgono innanzitutto al mondo, per renderlo a dimensione fisica-psichica-culturale dell’Io del discente e alla portata dei suoi interessi, delle sue visioni e delle sue capacità. L’azione diretta dell’adulto non sparisce, ma si ridereziona.
L’importanza dell’esercizio
Vediamo più da vicino un altro aspetto del ruolo educativo dell’ambiente: la possibilità di esercitarsi. Mettiamo a fuoco cosa succede con una serie di materiali educativi montessoriani che stimolano principalmente la capacità dei bambini di interagire con gli oggetti per fargli fare qualcosa, per fargli compiere un’azione determinata: infilare gettoni in un contenitore, aprire e chiudere un barattolo con un tappo a vite, separare e riunire oggetti dello stesso colore, grattugiare del pane o setacciare dei grani immersi nella farina. Tutte queste azioni hanno sia uno scopo che una funzione pratici, determinati, e danno soddisfazione al bambino (ma anche all’adulto) solo se vengono compiute in maniera precisa e senza errori, dando il risultato voluto. La Montessori, al pari di altri pedagogisti (troppo spesso si dimentica la lezione agazziana che pure le è molto vicina in questo caso), ha creato una offerta completa, varia, genuina e affascinante di attività che si trovano nel nido e nella scuola dell’infanzia proprio per dare al bambino l’opportunità di esercitarsi. Alcuni potrebbero obiettare che anche questo tipo di proposta, e cioè materiali con cui fare delle attività, è una proposta vicina a quello che già c’è nei nidi e nelle scuole dell’infanzia di tutto il mondo, tuttavia bisogna evitare le facili assonanze e percorrere per un momento una distinzione che si rivela solo dopo accurata analisi. Al nido e alla scuola, infatti, di solito ci sono molte occasioni per fare delle attività con degli oggetti, e queste attività coprono il più ampio raggio di varietà: troviamo giochi e giocattoli con cui fare costruzioni, attività di pittura, attività di travasi, ecc… Ma molto spesso queste attività vengono svolte con una attitudine esplorativa, permettendo al bambino, appunto, di esplorare l’oggetto e farci quello che vuole. Proprio alcuni giorni fa mi ritrovavo in un seminario a Milano in cui alcune educatrici di nido presentavano attività di travaso granulare svolte dai propri bambini di una sezione di mezzani in un laboratorio creato appositamente (con materiali e spazi belli e funzionali), i bambini in questione infilavano le proprie mani e alcuni strumenti come palette e bicchieri in grandi contenitori pieni di farina di mais, fagioli e altre sostanze solide. Nell’infilare le mani nei contenitori i bambini potevano fare quello che volevano, chiaramente senza danneggiare nulla e nessuno. Credo che questa attività sia presente in tutti i nidi d’Italia, seppure con migliori o peggiori livelli di definizione, e che in tutti i nidi senza eccezione i bambini che la svolgono possono svolgere in maniera esplorativa, senza dover svolgere un esercizio, un compito, di alcun tipo, e in maniera sociale, in un gruppo, grande o piccolo che sia.
Se osserviamo invece i materiali montessoriani corrispondenti ci accorgiamo che la Montessori opera due riduzioni fondamentali, la prima riguarda la socialità e la seconda la tipologia di azione. In merito alla socialità, si riporta il materiale in un vassoio, o in un piedistallo o su un tappeto, e si dà al bambino la possibilità di utilizzarlo da solo. Il che non vuol dire negare la dimensione sociale del nido o della scuola dell’infanzia, vuol dire soltanto creare dei momenti, degli spazi e dei materiali, che favoriscano anche l’attività individuale, a prescindere dai molti momenti in cui i bambini si ritrovano a fare cose insieme agli altri. Questa riduzione (dare al singolo la possibilità di lavorare e giocare da solo) investe il gruppo educativo e le sue convinzioni in maniera estremamente forte, mette in discussione alcuni riferimenti che fin dalla nascita del nido vogliono il bambino come un essere sociale che impara insieme agli altri, mentre la Montessori riflette (e aiuta a riflettere) sull’apprendimento che il bambino essere sociale compie da solo, ma in contesti sociali. La socialità dell’apprendimento è considerata in maniera del tutto diversa nei due approcci, nel primo caso (quello tradizionale) la socialità è il contenitore che permette che avvenga l’apprendimento, proprio come l’acqua permette ai pesci di nuotare, nel secondo (quello montessoriano) la socialità è il mezzo che permette al bambino di apprendere, proprio come il linguaggio che permette di esprimersi a chi parla, e questo mezzo (i materiali e le attività a disposizione del bambino, ovvero l’ambiente) è creato dall’adulto che rappresenta la società e l’umanità nei confronti del bambino; inoltre l’apprendimento viene vissuto in un contesto di incontri, visi, sguardi, osservazioni continue, ma viene recepito e agito individualmente (almeno in alcuni momenti della giornata).
La seconda riduzione che opera la Montessori però è ancora più decisiva e riguarda la tipologia di azione di cui il bambino può fare esperienza, ovvero l’esercizio. L’azione con il materiale montessoriano è un esercizio, permette cioè di agire con uno scopo, secondo precisi ritmi, seguendo una sequenzialità logica e prassica. Ad esempio per lavare un fazzoletto non si può procedere a caso, prima insaponando, poi strizzando e infine sciacquando, altrimenti alla fine dell’azione non avremo un pezzo di stoffa pulito, dovremo invece prima sciacquare, poi insaponare, sfregare e infine risciacquare per finire strizzando dall’acqua in eccesso. Questo tipo di attività non è esplorativa, è anzi un vero e proprio esercizio, che si ripete sempre uguale, che richiede sempre lo stesso sforzo di concentrazione e analisi della situazione. La Montessori parla a lungo di questa tipologia di attività e della sua importanza nello sviluppo infantile, ella definisce il bambino che svolge questi semplici esercizi come un lavoratore della costruzione dell’edificio psichico dell’uomo, delle mani che si preoccupano di svolgere con esattezza e precisione un semplice compito in attesa di costruire il mondo umano (diventando mani di operaio, medico, scienziato) dice che corrispondono al balbettio nel momento in cui si apprende a parlare (in attesa di dire le cose più elevate e nel modo più poetico e preciso possibile da adulti). Questa tipologia di attività è di solito ignorata nei nidi convenzionali e in alcuni del tutto osteggiata e temuta, perché si preferisce credere che l’attività esplorativa sia più indicata, idonea, necessaria al bambino piccolo, e anzi sia in definita più creativa, immaginativa, mettendo il bambino a suo agio, perché egli è sempre pieno di fantasia da utilizzare in una relazione esplorativa con l’ambiente. Ma questa visione del bambino è parziale, si badi bene non scorretta, semplicemente è atrofizzante. Restringe il bambino in un recinto in cui gli è concesso toccare, guardare, giocare, esplorare, ma sempre senza svolgere alcuna azione complicata, reale, vera, in cui si mette in gioco sul serio (se è lecito un gioco di parole!). Il bambino che esplora esiste, ed esplorare è fondamentale, ma sappiamo che questo è solo il primo passo nella relazione con il mondo. Mi piace qui ricordare l’esempio di Winnicott (1941) e del suo abbassalingua, egli osservava i bambini che in braccio alla madre venivano nel suo studio ed erano attirati da un oggetto (abbassalingua) che egli teneva sulla scrivania, ogni bambino aveva una relazione con l’oggetto che seguiva tre fasi: 1) fase dell’interesse e dell’esitazione (in cui il bambino tocca l’oggetto e cerca di capire che reazione hanno gli adulti, per poi allontanarsi e ritornare a prenderlo di nuovo); 2) fase del possesso (in cui il bambino manipola l’oggetto e lo esplora); 3) fase dell’abbandono (in cui il bambino si esercita a lasciar cadere l’oggetto e lasciarlo andare per posare l’interesse su altro). Evidentemente questa descrizione dell’attività infantile ha il suo centro sull’importanza dell’esplorazione del mondo nella fase del possesso che corrisponde, liberata dalla funzione transazionale assegnatagli dalla psicoanalisi, proprio all’attività libera di interazione di soggetto (bambino) e oggetto (l’abbassalingua nel caso di Winnicott, ma qualsiasi oggetto e materiale educativo al nido o a scuola). Ora però dobbiamo anche considerare che il soggetto non si può limitare all’esplorazione di un oggetto, per quanto questa sia una fase necessaria e generi adattamento psichico e fisico nell’ambiente, e quando un oggetto è stato esplorato a sufficienza il bambino lo lascia andare per investirlo di una nuova potenzialità, ovvero quella operativa (da non confondere con la fase del pensiero operatorio di Piaget). L’oggetto esplorato, conosciuto, diventa un oggetto che può entrare in relazione operativa con altri oggetti, può entrare dentro una scatola, può essere nascosto, può diventare simbolicamente qualcosa di diverso, può modificare la realtà e permettere al bambino di operare su di essa per ottenere una qualche modificazione. Insomma l’oggetto diventa un elemento con cui esercitarsi e con cui costruire relazioni con altri oggetti. La Montessori, seppure non osservando il bambino piccolissimo se non alla fine della sua vita, mette l’accento sulla fase operativa della relazione con gli oggetti, quella fase (non descritta da Winnicott nel caso dell’abbassalingua, che rimane una analisi della centralità della fase esplorativa) che segue alla conoscenza con gli oggetti e che introduce il bambino nel mondo di relazioni tra oggetti. La tipologia di attività che favorisce dunque nel bambino è proprio quella dell’esercizio con gli oggetti, esercizio che prevede uno scopo, una funzione determinata e una articolazione prassica (una serie di movimenti specifici, sequenze ordinate). Diventa molto facile capire di cosa stiamo parlando, se pensiamo per un momento al bambino che va sull’altalena o che sale sullo scivolo per poi scenderne giù: è di certo possibile andare in altalena o sullo scivolo in modo esplorativo (e infatti i bambini spesso lo fanno), ma non è il modo funzionale, quello previsto dall’esercizio (che se svolto correttamente dà molto più piacere e migliori risultati). Nel caso dei movimenti grossi del corpo non abbiamo remore e preoccupazioni e ci accorgiamo che esplorazione e esercizio sono due modalità distinte di relazione con il mondo e, cosa più importante, che alcuni materiali sono adatti principalmente (se non esclusivamente) a svolgere esercizi. Nel caso dell’esercizio con oggetti invece si è più restii ad accettarne l’importanza educativa. La Montessori ha dunque creato un ambiente che, grazie alla riduzione operata sui suoi materiali, riduzione di grado della socialità e di tipologia dell’attività, permette al bambino del nido e della scuola dell’infanzia di sviluppare competenze, abilità e strutture mentali grazie ad un continuo esercizio, concentrato, attento e proficuo.